25-6-2015-
E’ di questi giorni la pubblicazione dell’Enciclica sulla Cura della Cosa Comune del Santo Padre. Data l’eccezionalità dell’evento, la particolarità delle tematiche affrontate, ed espliciti riferimenti alla “pesca” intesa nella sua accezione più ampia (in particolare § 40 e 41), riteniamo opportuno proporla al fine di contribuire alla diffusione delle riflessioni ivi proposte. Non manchiamo di notare, e di apprezzare, la prospettiva di sostenibilità che a noi sembra il leitmotiv del testo proposto (e sul quale più volte ci siamo confrontati) in un crescendo di analisi, dalla “Perdita di biodiversità” (cap. III), al legame tra questa e la degradazione sociale (cap. IV), fino a riconoscere una “inequità planetaria” (cap. V) per cui:
48-49. “L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. (…) Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente”.
La conclusione può essere vista nel richiamo a una “ecologia integrale” per cui “Quando parliamo di ambiente facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. (…) Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (139).
Più specificamente, come Aripesca Toscana bene ci ritroviamo nella metofora di “abbelire una fontana” (§ 45), perché ci fa pensare al lavoro per un campo di pesca o una zona da salvaguardare, e non intesi in maniera avulsa dal più ampio contesto socio-ambientale in cui sono inseriti, bensì come specificazione funzionale e armonica di essi, in una dimostrazione della capacità culturale della società che vuole vivere l’ambiente prendendosene cura in maniera complessa e non superficiale (§ 232):
“45. In alcuni luoghi, rurali e urbani, la privatizzazione degli spazi ha reso difficile l’accesso dei cittadini a zone di particolare bellezza; altrove si sono creati quartieri residenziali “ecologici” solo a disposizione di pochi, dove si fa in modo di evitare che altri entrino a disturbare una tranquillità artificiale. Spesso si trova una città bella e piena di spazi verdi ben curati in alcune aree “sicure”, ma non altrettanto in zone meno visibili, dove vivono gli scartati della società.”
“232.Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società fiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale.”
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